Caltanissetta,
28 gen – La sovranità, il valore e l’onore di una nazione passano anche e
non solo da episodi come questo che andremo a raccontarvi, perchè in
Sicilia gli Stati uniti hanno vinto e l’Italia ha perso.
La costruzione
delle tre parabole americane a Niscemi è terminata. Non sono stati
sufficienti anni di proteste, di ricorsi, di tribunali, di medici, per
impedire la costruzione del Muos.
Una contesa ad armi impari combattuta senza il
supporto delle istituzioni, colpevoli di aver illuso la popolazione
locale, di averla sostenuta in un primo momento e poi di averla
abbandonata. Insomma, la consueta storia tutta italiana, condita dalla
solita soggezione di non voler contraddire l’alleato a stelle e strisce.
Ma procediamo
con ordine. Il Muos è l’acronimo di “Mobile User Objective System”, cioè
un moderno sistema di telecomunicazioni satellitari concepito dalla
marina militare statunitense che, grazie a cinque satelliti in orbita e
quattro stazioni di terra, permetterà agli Usa di controllare e
coordinare tutte le unità navali, aeree e terrestri dislocate nel mondo,
compresi i droni. Una di queste quattro stazioni di terra è proprio
quella di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. È qui che ieri, 27
gennaio, si è completata la costruzione di tre parabole satellitari dal
diametro di 20 metri e di due antenne alte 150. Ma il sistema di difesa
americano è diventato anche di pubblico interesse perché nasce in
un’area dove vivono persone che hanno paura di assistere inermi ad un
bombardamento di onde elettromagnetiche.
Il professor
Massimo Zucchetti, esperto di “Protezione dalle Radiazioni” presso il
Politecnico di Torino e ricercatore dell’Institute of Technology del
Massachusetts, dichiarò nel 2011 che le tre parabole avrebbero aumentato
i rischi per la popolazione in modo esponenziale. Studi e perizie
dimostravano infatti che il Muos sarebbe potuto essere nocivo e
portatore di tumori, leucemie, cataratte, riduzione della fertilità.
Per scongiurare
questi rischi nel 2010 nacque spontaneamente il movimento “No-Muos”,
con l’intento di sensibilizzare le istituzioni e di bloccare il
progetto. Le decise proteste locali contribuirono a mettere sotto
sequestro il cantiere americano, grazie ad una decisione presa il 6
ottobre 2012 dalla Procura di Caltagirone. I giudici ritenevano
inaccettabile che il Muos potesse sorgere in una area protetta come
quella dalla riserva naturale della Sughereta di Niscemi. Ma i sigilli
durarono appena venti giorni, perché il tribunale della Libertà di
Catania accolse il ricorso del ministero della Difesa, revocando il
sequestro.
È qui che
entrano in gioco la Regione Sicilia e il verboso Rosario Crocetta. Il
governatore siciliano, spinto dalle proteste e per un tornaconto
politico, nel gennaio 2013 dichiarò guerra allo Stato italiano e al
progetto statunitense. Apparentemente convinto sostenitore della
pericolosità di queste tre parabole satellitari, l’11 marzo Crocetta
riuscì a raggiungere un’intesa col governo per bloccare i lavori di
costruzione, almeno fino a quando non ci fossero state perizie mediche e
ambientali complete. Questa strategia portò ad una nuova chiusura del
cantiere, questa volta ad opera della stessa Regione Sicilia.
Da questo
preciso momento, lo Stato italiano cominciò a mostrare la sua peggior
faccia nella vicenda. Al posto di promuovere un dibattito
sull’argomento, magari coinvolgendo medici, associazioni ed opinione
pubblica, il ministero della Difesa (all’epoca dei fatti guidato da
Giampaolo Di Paola, poi passato a Mario Mauro) pensò bene di rivolgersi
al Tar della Sicilia per chiedere la revoca del blocco dei lavori,
oltretutto pretendendo un cospicuo risarcimento danni dalla Regione. In
pratica lo Stato si fece causa da solo pur di non aver problemi con gli
americani.
Nonostante ciò,
il 9 luglio 2013 il Tar respinse il ricorso del ministero della Difesa,
definendo più che legittima la decisione di sospensione della Regione. E
qui subentra il colpo di scena: Crocetta cambia idea come illuminato
sulla via di Damasco e fa ripartire i lavori.
Quasi in
contemporanea, l’Istituto di Sanità Superiore dello Stato dichiara che
alcuni studi dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale) sulle parabole del Muos dimostravano “che tutti i
limiti previsti dalla legislazione italiana in materia di protezione
della salute umana dai campi elettromagnetici erano stati rispettati in
larga misura”. Quindi per lo Stato, ancora oggi, non c’è nessun pericolo
per la salute e per l’ambiente.
“Crocetta
Vergona”, all’indomani della decisione, fu questo lo slogan del
movimento No-Muos, prima sedotto poi abbandonato a sé stesso. La
decisione del presidente della Regione portava al minimo la sua
credibilità, soprattutto perché la battaglia al Muos era stato uno dei
punti cardine della sua campagna elettorale nell’ottobre del 2012. Lui
accampò una difesa, affermando di aver ricevuto pressioni dai poteri
forti e addirittura dalla Cia.
Sono oltre 113
le installazioni militari a stelle e strisce dislocate sul nostro
territorio. Un’enorme eredità post-Seconda Guerra Mondiale che ha più
volte riacceso il dibattito “sull’occupazione americana”. È giusto che
gli Usa, ancora oggi, detengano una presenza così massiccia e ben
radicata in Italia? Ma soprattutto è giusto che ogni decisione di
Washington venga accolta con tacito consenso dalle nostre istituzioni,
come se il concetto di sovranità nazionale sia solo un’inutile
definizione in un libro di Scienza Politica o di Diritto Internazionale?
Da molti anni i
siciliani si oppongono alla base di Sigonella in provincia di Siracusa,
così come ad Aviano (Pordenone) molti italiani chiedono che gli
americani facciano le valigie. Nel 2008 una perdita di cherosene
dall’oleodotto che riforniva la base di Aviano mise a rischio ambientale
la zona del nord-est italiano, con l’accendersi di nuovi dubbi e
polemiche, terminate poi nel silenzio dei media, come per la presente
questione di Niscemi. Il Muos è solo l’ultimo degli episodi di
sudditanza coloniale. Le parabole alla fine sono state costruite,
l’America ha vinto di nuovo e l’Italia vilipesa.
Giuseppe Maneggio
Fonte:
www.ilprimatonazionale.it
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